Prologo: serata organizzata dall’amico “che se ne intende…” e che ringrazio ancora adesso.
In 4, prenotato per le 21.00 per l’occasione della mia toccata (e fuga) novembrina, cena a base d’Oca (O maiuscola, in questo specifico caso), l’Oca loca.
Simpatico il titolo, simpaticissima la compagnia, superlativa location e menù. Senza se e senza ma.
Credo mancasse (ma solo perché chiaramente il mio Ego è stato pizzicato) lo schiacciamento della carcassa dell’oca tramite un’apposita pressa per ricavarne l’anima (ma forse non per l’oca, per l’anatra? Ottimo aperitivo).
Anyway, ci accomodiamo, leggiamo il menù ed è tutto un sogno erotico: petto d’oca affumicato (sentirò poi la lunga cottura) burro con lavanda e arancio; poi piatto (assiette) di salumi d’oca (perché usare il francese, fa più figo?), del riso fritto con verdura a coriandoli anche se non siamo a carnevale e lo speck, chiaramente d’oca; la tagliatella spessa col ragù (oppure ragoût?), un sorbettino inusuale, buonissimo, alla salvia, e Sua Maestà la Coscia d’Oca confit, con i petali del carciofo a corollario ed il carciofo fritto nel grasso d’oca…
Il dessert lo lascio a tra poco, quando riuscirò a ricomporre il sapore in bocca dopo aver scritto dell’Oca.
Parliamo solo in italiano, i francesismi (ormai sono anni che risiedo in Oriente) non li ricordo.
Di riso me ne intendo, ma fritto, croccantino, con le foglie di speck attorno, non ne avevo mai mangiato, e dire mangiare è riduttivo per un piatto con una complessità e allo stesso tempo un equilibrio assoluti. L’ossigeno permette alle molecole odorose e saporose di far passare tutto attraverso lingua e naso al cervello, ed è lì che avviene il cortocircuito, la volontà primitiva di non far smettere il piacere di gusto e profumo. Non ho scampo, devo contenermi ed aspettare il climax.
Un po' di vino, Valpolicella Classico superiore, Ripasso. Un altro poco, per prepararmi alle tagliatelle (lo Chef estroso vuole mimetizzarle chiamandole Losanga, antico nome di una specie di rombo, usato in araldica, grazie Google) di farina di polenta, che da Veneto mi piace molto, con il giusto condimento di ragù d’oca ed erbette varie: “gustose” definisce bene il boccone, il primo, perché già dal secondo la definizione cambia in “appetitose” data la capacità di creare spazio nello stomaco nonostante il volume che continuo a far scomparire dal piatto. Fino alla fine, non c’è storia.
E difatti, finito con il preambolo dell’assaggino benvenuto+antipasto+primo piatto e relativo sorbetto, attendo in astinenza il Signor Secondo Piatto, sicuro di lasciare mister Malox intonso nella sua confezione (che preventivamente mi porto dietro, sono malato lo so ma meglio prevenire che curare).
E ho ragione. Lo Chef gioca sporco, sfilaccia la coscia, l’adagia su di una specie di fiore di petali di carciofo, che profumano anch’essi d’oca, di carni usate per il volo, turgide e sode ma lavorate per diventare la prelibatezza che, mentre la guardo, fa aumentare la deglutizione. E gli amici se ne accorgono, mi guardano strano, parlano di donne, di sport, di soldi… Perdoniamoli, perché non sanno quello che fanno.
La concentrazione è fondamentale nella degustazione, l’ho imparato da tempo. Distrarsi può significare non percepire la nota del coriandolo, il retrogusto dell’agrume, ed avendone adesso l’occasione non potrei perdonarmelo.
Mastico, o almeno ci provo, perché la bocca sembra non voler porre termine al piacere del Gusto. Ogni boccone dovrebbe essere masticato dalle 15 alle 30 volte ma non ho vergogna nel dire che il tempo non è considerabile, almeno da me, perché come direbbe un testimone di fronte alla giuria: non ho altro da dire.
Bevo ancora un poco. Riprendo a gustare piccole forchettate di questo piatto, del quale non potrò più fare a meno, già lo so, pensando a come farmi dare la ricetta dal cuoco più tardi, con il quale ho parlato a spot.
A questo punto inserisco dei puntini di sospensione, lasciatemi sognare…….
Rieccomi, il dessert non può essere dimenticato, una Mont Blanc o Montebianco, connubio di panna e castagne ma di forma piramidale, interno delicato, punta bianca di cioccolata e pareti di cacao, dessert dal quale ho provato a distrarmi ma anche questa volta fallendo, perché il dessert lascia un ricordo ancora ridondante del prima, di quell’Oca, sacrificata sull’altare del buon gusto (i vegetariani non me ne vogliano, ma la natura mi ha dotato di canini, da sempre).
Un ringraziamento lo darei anche, dato che non frequento La Capinera, a tutto lo staff di cucina, alla Sala ed anche alla Proprietà, che selezionando lo staff ha reso possibile questa goduria ;-)
Alamacchia
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05 Novembre 2023
10,0